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Carlo Zecchi, o del perfezionismo


(di Antonio Latanza)
Un perfezionismo spinto all'estremo allontanò il pianista dalla formazione di un vasto repertorio; anzi, il suo repertorio fu alquanto limitato. Per comprendere oggi questo atteggiamento non c'è che un parallelo, quello con Arturo Benedetti Michelangeli, figura che ancora alcuni rifiutano di annoverare tra i prodigi dell'esecuzione pianistica a causa della sua chiusura.
Perfezione era nitore, era limpidezza. Essa non si avvicinava neppure agli sconvolgimenti intellettuali di Busoni.
Un parallelo è semmai proponibile con Schnabel, ma non per il suo repertorio, che era incomparabilmente più vasto. Schnabel appare a paragone un pianista più metodico e anche più istintivo.
Se la didattica di Zecchi si stendeva a una vasta quantità di opere, tuttavia l'esecutore appariva negli anni trenta diviso tra il classico, le tendenze dei giovani compositori e la riscoperta di Scarlatti, in cui Zecchi fu forse il primo, più tardi emulato da Federigo Bufaletti e Casella.
Forse un atteggiamento di eleganza dandistica risiedeva nella ricerca del suono, dello charme. Potrebbe proprio questa essere una delle chiavi di lettura della sua personalità: la magia del suono. Ma nello stesso tempo Zecchi fu pianista che non poneva a se stesso dei limiti. Così spregiudicato appare lo Zecchi ventiquattrenne che si fa ritrarre, negli studi di registrazione della casa tedesca Welte, insieme a Paul Hindemith. Registrò quel giorno musica di Strawinski e di altri moderni. Non diverso appare lo Zecchi sessantenne che accompagna una cantante in un repertorio di liriche bartokiane. Fu forse complice una liason intellettuale con la cantante: è un fatto che lo spirito e il gusto mostrati dal pianista sono interamente adeguati allo stile del repertorio eseguito.
Ecco allora un'altra chiave di lettura: pianista dalla estrema versatilità. Zecchi non si lasciò restringere in un repertorio nè in un clichet.
Così letto, Zecchi appare difficilmente definibile, una sorta di Giano non bifronte ma provvisto di molteplici volti, esattamente come le tante immagini di travestimenti "etnici" nei quali si è fatto ritrarre durante i suoi tanti viaggi: il suo archivio lo mostra come pellerossa, come bonzo indiano, come selvaggio dell'Africa, come vestito in un costume russo, come atleta durante i suoi esercizi ginnici.
Per la verità quest'ultimo non era un travestimento, ma forse l'espressione più forte della sua versatilità, che tale era sia nella vita, sia sulla tastiera.
Ecco allora un'altra chiave di lettura: il ludo, l'anima giocosa che però sulla tastiera appariva estremamente seria e fascinosa.
Per il versatile Zecchi non lungo era il passo da Scarlatti a Strawinski a Bartok.


In morte di Carlo Zecchi


(di Antonio Latanza)
Il mondo musicale attuale avverte con dolore la scomparsa di Carlo Zecchi, venuto meno il 2 settembre 1984 nella città di Salisburgo all'età di 81 anni.
Se i più giovani lo ricordano, minuto ma vigoroso, sul podio, i più anziani non hanno affatto dimenticato le sue glorie pianistiche. A Carlo Zecchi, sorta di Giano bifronte, si lega un'unica leggenda, quella del musicista che, lontano da qualsiasi divismo, ha scelto le più difficili strade della finezza, dello stile più impeccabile, fatto di grazia e di pura espressione musicale. Queste qualità furono dal Maestro dimostrate nelle due direzioni verso le quali il suo linguaggio seppe indirizzarsi: la tastiera ed il podio: Invano nel pianista si sarebbero potuti individuare atteggiamenti divistici o ascoltare delle interpretazioni a effetto, nonostante la vigoria della gioventù e nonostante irripetibili capacità virtuosistiche; allo stesso modo, il direttore d'orchestra era alieno da qualsiasi gesto esibizionistico e ogni suo programma era improntato a gusto e stile.
Durante i numerosi decenni della sua carriera artistica Zecchi fu sempre un aristocratico, anche quando questi valori erano ormai obsoleti, pago di lavorare per il gusto di esprimersi in musica, lontanissimo dal sottobosco delle protezioni, quasi rannicchiato nella sua semplice casa romana di via Pacini, piena di fotografie, di partiture e di ricordi. La sua fu, insomma, una esistenza attivissima e serena, divisa dal 1936 con la fida sposa Velta Vait.
Il suo standard elevato si doveva a grandi qualità in lui connaturate, ma anche ad una formazione giovanile, quali nessun altro pianista italiano a lui contemporaneo doveva ricevere. Tutte le qualità che furono più tardi del direttore d'orchestra vennero generate in lui dalla sua formazione pianistica di base. Folgorante fu la carriera pianistica di Zecchi, che raggiunse i quattro angoli della terra quale ambasciatore della musicalità italiana.
Dopo il primo concerto che diresse a Basilea nel 1942, la sua attività di Direttore si sparse in tutto il mondo. Tuttavia, parallelamente, trovò anche il tempo di impegnarsi nella musica da camera (celeberrimo fu il duo con il violoncellista Enrico Mainardi e quello con il Violoncellista Antonio Janigro). Come Direttore Zecchi ha anche lasciato un segno.
Il suo gesto direttoriale era sempre essenziale e misurato, il dialogo con l'orchestra sempre affettuoso e poetico. Assai significativa è stata in Zecchi la scelta del repertorio, il più delle volte incentrata sul Settecento e, soprattutto, sul suo amatissimo Mozart; una predilezione forse sbocciata negli anni berlinesi, quando dopo ogni lezione, Busoni si accomiatava da lui dicendogli "...e, mi raccomando, non trascurare il Mozart!" Un presagio o un faro acceso sul futuro amore della maturità?
Forse la sua scomparsa in Salisburgo si lega a un significato profondo.